Lettera a un Maestro e per conoscenza a uno Scrittore di Drammi, di Bruno Portesan
A cura di Marialuisa Cavallazzi
 

Marialuisa Cavallazzi recensisce Lettera a un Maestro e per conoscenza  a uno Scrittore di Drammi, di Bruno Portesan, Ledizioni, Milano 2016, pp. 221, € 16,00.    Descrizione :     

 

Questo testo infrequente e fuori dell’ordinario, direi impegnativo, è un testo tuttavia che presenta aspetti straordinari, almeno per una lettrice affatto inesperta di storia del teatro, anche nel senso più circoscritto del termine.

In ogni caso, siamo qui in presenza di una sorta di strabiliante, intenso, avvolgente monologo che Portesan trascina senza cedimenti o debolezze per più di duecento pagine con un Maestro, che altri non è che Giorgio Strehler, il quale – e sono le prime righe del lavoro – Maestro non voleva essere chiamato.

Questo, al di là, delle debolezze narcisistiche di Strehler, è la prova di una tempra dell’interlocutore Portesan, che gli si rivolge in tal modo, e continuerà a chiamarlo così, con un misto di ammirazione e simpatia con una vena derisoria; come in egual modo accade con lo “ scrittore di drammi” che altri non è che il molto amato Bertolt Brecht. La medesima libertà di giudizio e autonomia di valutazioni è riservata, a autori, critici, studiosi che capita di citare durante questo importante lavoro.

Qual è l’argomento, di che cosa trattano queste pagine fittissime che sembrano il risultato di un pensare, e un pensare di tutta la vita?

Qual è la questione della quale si parla?

L’argomento è la recitazione e l’attenzione dedicata dal Maestro in particolare alla recitazione epica – così cara a Brecht – e che consente, nella prospettiva anche rivoluzionaria del termine, che lo spettatore divenga destinatario attivo e dunque sia anche in grado di criticare il personaggio e le convinzioni e le emozioni che l’opera esprime. Esistono e verranno analizzati e percorsi, in queste pagine con un ribollire di informazioni interessantissime, e i molti modi, efficaci o presunti tali, per facilitare all’attore la recitazione epica; il più noto è quello dello straniamento.

Ma certo non siamo qui in grado di valutare nulla del contenuto, se non che uno degli aspetti fuori dall’ordinario di questo lavoro è che – mi pare – qualsiasi attore o giovane critico potrebbe avvalersi in maniera feconda di un testo così fatto, tranne che di alcune questioni in nota superate dal tempo: o che un giovane storico della letteratura e del teatro dovrebbe riuscire a cavare fuori da qui un’immagine di Bertolt Brecht non stereotipata, ma calda e vivente.

Così che mi è capitato di pensare che questo è un lavoro che “non si faceva lasciare”, perché ho verificato che chi avesse ancora il gusto del sapere, o il bisogno di conoscere, trovava in queste pagine di che cibarsi.

Eppure a un certo punto, come dire, necessariamente mi sono fermata e ho sentito il bisogno di “svuotare il pieno” e pensare da sola. Chiedere a Portesan per favore che si fermasse.

Ed è quando Totò viene indicato dall’autore come il campione del teatro epico.

Un Totò che ha dismesso la marionetta buffonesca che vestiva da giovane e con gli anni è entrato in una sua pienezza che gli ha consentito di mostrare la sua vera anima, mentre la critica non lo ha mai perdonato per il “tradimento” del suo essere marionetta, e, tra gli altri, persino Fellini, se ricordo bene.

Era un Totò che per tutti noi che lo abbiamo amato è stato insieme un ricordo e un problema, proprio per quelle involontarie competenze di attore che dimostrava.

Dove è interessante l’intervento di Portesan che, citando Dario Fo che a sua volta cita Chaplin, si ricorda che l’attore epico dovrebbe avere il sarcasmo, l’irriverenza, la “cattiveria” di Totò, meglio, la “moralità della cattiveria”…

Ecco, è qui che credo che se l’autore avesse argomentato più disteso, lasciando e lasciandosi  il tempo per pensare, illustrare, e ridere con il ricordo, tutti saremmo stati più completi e appagati.

Ma si avanzava Diderot e il tema della consapevolezza politica.

Così, per chiudere, viene ricordato il breve ritornare del maestro al Piccolo con la regia della Santa Giovanna, dove sembra che il discorso si faccia  più lento, e meno armato.

Mentre un Arlecchino che avanza nell’ombra  e infine ci guarda tutti uno per uno quanti siamo spettatori, sta forse a significare che per l’ultima volta qualcuno ci mette in guardia.

Poi ritorneremo agnelli tra le zampe di leoni.

 
Chiudi