ATTUALITA'


Cause e colpe

L’incidente di Alex Zanardi



Pierrette Lavanchy

Il venerdì 19 giugno 2020, Alex Zanardi, ex pilota automobilistico, diventato campione paraolimpico dopo aver perso le gambe in un incidente di gara in Formula 1, partecipava a una corsa di handbike, una sorta di bicicletta azionata dalle mani, su una strada toscana in leggera discesa. A un tornante, la sua handbike è uscita di traiettoria, si è capovolta, e il pilota è stato scaraventato contro un camion che procedeva in senso opposto. Zanardi ha riportato gravissime ferite ed è stato trasportato in coma all’ospedale di Siena.

Ovviamente il primo passo, da parte dei giornali e dell’opinione pubblica, al di là delle espressioni di sgomento e di angoscia per il fatto drammatico, consiste nell’interrogarsi sulla dinamica dell’incidente, nel ricostruire la meccanica dei corpi solidi entrati in contatto l’uno con l’altro, il corpo del pilota e la strada, il corpo che rimbalza sul predellino del camion. Ci si occupa di come è potuto accadere questo terribile impatto, cioè degli elementi della combinazione fisica tra materia e tempo che hanno portato allo scontro.

Ma altrettanto inevitabile sembra il secondo passo, o il passo parallelo, che mette in causa le intenzioni, i pensieri, la volontà dei singoli attori, spostandosi da una visione dall’alto, a volo d’uccello, all’attenzione per le azioni umane. L’indagine sulla causa efficiente, in senso aristotelico, dell’incidente si inflette in direzione della ricerca di responsabilità delle persone coinvolte, cioè dell’analisi di quanto voluto e agito da esse. Naturalmente questo è il lavoro specifico degli inquirenti chiamati a pronunciarsi; ma sembra anche la piega immediata, automatica, che prendono le riflessioni e i commenti sull’accaduto, nei giornali e nelle reti sociali. Cercare il colpevole; che sia stato il pilota stesso, distratto, o addirittura indaffarato a filmare il paesaggio con il telefonino; che sia stato l’autista del camion, che non ha evitato l’impatto; che sia stato l’organizzatore della corsa, una corsa per atleti disabili che si svolge su una strada aperta al traffico motorizzato.

Due articoli di giornale, Il Caffè di Massimo Gramellini, intitolato «Il camionista», su il Corriere della Sera, e un editoriale non firmato su Il Foglio, «Un colpevole per Zanardi», entrambi datati 23 giugno 2020, a quattro giorni dall’incidente, hanno rilevato questa tendenza a cercare il colpevole, a trattare il fatto in una prospettiva antropica. Massimo Gramellini si pone addirittura nei panni del camionista, dimostrando la sua empatia nei confronti dell’uomo e dei sensi di colpa che non possono mancare di tormentarlo. L’autista «dice di aver visto un pallone rimbalzarsi sull’asfalto e […] di essersi reso conto che questo pallone era un uomo». Probabilmente, scrive Gramellini, avrà pensato a tutte le circostanze che, se fossero stato diverse, avrebbero evitato l’incidente, ritardando il passaggio del mezzo pesante in quel preciso tratto della strada. Il redattore del Foglio denuncia «il tarlo della domanda più subdola: di chi è la colpa?». Entrambi i giornalisti, quindi, mettono in questione l’atteggiamento di ricondurre ai comportamenti umani tutto quello che capita su questa terra. Entrambi si riferiscono alla pretesa che sottende questo atteggiamento: quella di poter controllare il mondo. Per l’autore dell’articolo de Il Foglio, «l’impossibilità di controllare fino in fondo ogni aspetto della nostra vita … è di per sé inaccettabile». Per Gramellini, «la vita non è controllabile» e «siamo tutti palloni che rimbalzano».

Ci è sembrato interessante trovare in questi due articoli il riconoscimento di una prospettiva che stiamo coltivando da tempo nei nostri lavoro dell’Accademia, secondo la quale siamo oggetti in un mondo di oggetti, creature in balia dei capricci della sorte, palline di bigliardo colpite da altre palline. Senza poter scorgere, dietro a tutto questo, un regista occulto.





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