ATTUALITA'


L’oggetto ostinato della Formula 1

A proposito del ritiro di Nico Rosberg



di Giampaolo Lai

Ecco i fatti. Nico Rosberg, pilota del team di Formula 1 Mercedes, dopo aver vinto il suo primo e unico campionato del mondo in 18 anni di onorata carriera, la domenica 27 novembre 2016 a Abi Dhabi, ha subito dato l’annuncio choc al mondo che si ritirava dalle corse per dedicarsi alla vita privata e agli affetti familiari. Anche il padre di Nico Rosberg aveva vinto il campionato del mondo di Formula 1 nel 1982. Fra le ragioni del ritiro addotte da Nico, c’era l’eccesso di tensioni a cui vengono sottoposti i piloti di Formula 1, e l’aver comunque realizzato il più grande desiderio di tutta la sua vita, fin da bambino, di diventare come suo padre campione del mondo. Fin qui niente di strano. Tutti i commentatori sportivi della vicenda, tranne eventuali eccezioni che mi siano sfuggite alla lettura dei giornali, hanno approvato senza riserve la decisione di Nico Rosberg, lodandone il coraggio con frasi del tipo «il coraggio di schiacciare il freno», «solo ora possiamo apprezzare il suo sforzo vincente» (Giorgio Peruzzi sul Corriere della Sera del sabato 3 dicembre 2016) e «lasciare dal numero uno è una prova di grandezza. Anzi è la sua più bella vittoria» (Flavio Vanetti, sempre nel Corriere della Sera del 3 dicembre); «il ritiro di Rosberg mi ha emozionato, è stato un atto di coraggio» (Marchionne, Corriere della Sera del lunedì 5 dicembre). Abitualmente nelle lessico quotidiano la rinuncia, specialmente se riguarda situazioni di competizione, è vissuta come un atto di viltà. Non dimentichiamo le tremende parole di Dante: «... che fece per viltade il gran rifiuto».

In verità, a noi non interessa tanto stabilire, sul piano psicologico, se Nico Rosberg sia stato un coraggioso o un vigliacco nella sua scelta. Interessa piuttosto indagare le ragioni storiche e strutturali che possono esporre ciascuno di noi a scegliere la rinuncia piuttosto che l’impegno. Un aiuto in questa dimensione ci sembra di poterlo trovare nella teoria dell’ostinazione del soggetto. Che cos’è l’ostinazione del soggetto? Con il termine di ostinazione del soggetto abbiamo indicato nelle nostre ricerche le situazioni nelle quali una persona continua a guardare un oggetto secondo gli schemi entro i quali l’ha fatto entrare di primo acchito, senza modificarne la visione, anche quando l’oggetto o le condizioni ambientali si modificano. Che Nico Rosberg sia un soggetto ostinato, non in senso psicologico ma in quello strutturale, diventa chiaro quando ci dice che da sempre ha voluto, come suo padre, diventare campione del mondo. La verità, per Nico, finché ostinatamente perseguiva questo obiettivo, era che voleva diventare campione del mondo. Ma una volta diventato campione del mondo, l’oggetto di verità in Formula 1  cambiava radicalmente, e poteva diventare: “io voglio diventare campione del mondo per la seconda volta”. Nella nostra teoria dell’ostinazione del soggetto, avevamo detto che l’oggetto ostinato nasconde la verità. Questa regola vale anche per Nico Rosberg. Non risponde alla verità la sua affermazione che si ritira dal circuito della Formula 1 perché vuole dedicarsi alle gioie della famiglia. Risponde alla verità invece il fatto che, se vuole conquistare il secondo titolo del mondo, deve continuare a combattere contro Lewis Hamilton. Il punto di vista tradizionale della vecchia psicoanalisi ci direbbe che Nico Rosberg non vuole continuare a correre, per non correre il rischio di vincere un secondo titolo mondiale e con questo superare suo padre. La verità più probabile è che rinuncia a correre per non esporsi al rischio di perdere contro il suo nemico Hamilton. A meno che qualche comunicato stampa dei prossimi giorni ci faccia sapere, e a noi farebbe piacere, che Nico Rosberg ha cambiato idea, si è contraddetto, e che ritornerà a correre, per vincere o per perdere.





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