ATTUALITA'


Brainstorming delle idee e incontri casuali delle persone

Riflessioni su alcuni strumenti del lavoro in gruppo





 

Brainstorming delle idee e incontri casuali delle persone

di Pierrette Lavanchy

A proposito di «Groupthink. The brainstorming myth», di Jonah Lehrer, The New Yorker, 30 gennaio 2012

L’articolo di Jonah Lehrer tratta del lavoro in gruppo e dei metodi che lo favoriscono. Si focalizza su due tipi di incontro: l’incontro delle idee e l’incontro delle persone.
Si sofferma in primo luogo sul metodo del brainstorming, ideato negli anni ’40 del secolo scorso dal pubblicitario Alex Osborne. Seguendo questa pratica i membri di un gruppo, per risolvere un problema, dovrebbero coinvolgersi in una “tempesta cerebrale” dove ciascuno lancia le proprie idee senza limitazioni e senza che vi siano critiche o feedback negativi. Il metodo ha avuto un enorme successo sul piano della diffusione, ma diversi studi hanno mostrato la sua limitata efficacia. Per esempio uno studio di Yale, nel 1958, consisteva nel sottoporre alla stessa prova due gruppi di 48 studenti. Nel primo gruppo, gli studenti erano suddivisi in sottogruppi di 4 elementi e utilizzavano il brainstorming; nel secondo, ciascuno lavorava isolatamente. Le proposte risultanti dal lavoro individuale furono valutate nettamente più efficaci e razionali delle proposte risultanti dei gruppetti di brainstorming.
L’allargamento della conoscenza, la moltiplicazione delle informazioni e la conseguente specializzazione hanno tuttavia condotto a riconoscere la  necessità del lavoro in gruppo. La questione cui l’autore tenta di rispondere riguarda gli stimoli più adatti a renderlo funzionale. Altri due esperimenti introducono il concetto che il confronto e la critica, cioè in definitiva la manifestazione di differenze, hanno un effetto positivo sulla creatività dei gruppi.
 
Metodi di lavoro in gruppo. Nel 2003 a Berkeley la Prof. Charlan Nemeth ha sottoposto 265 studentesse suddivise in gruppi di 5, il problema di come risolvere la congestione del traffico nell’area della baia di San Francisco. Un terzo dei gruppi dovevano applicare il brainstorming; un terzo era assoggettato alla condizione del “dibattito”, dove ciascun membro è invitato a esprimersi liberamente, ma si misura con la discussione e con l’eventuale  critica degli altri; l’ultimo gruppo era libero di procedere, cioè non aveva ricevuta alcuna consegna particolare. I risultati ottenuto con il brainstorming furono appena superiori a quelli del metodo libero, ma molto inferiori a quelli del metodo “dibattito”, che generò 20% di idee in più.
Uno stesso tipo di risultati è scaturito da un esperimento sulla libera associazione su singole parole, che secondo studi classici, dà risposte standard largamente prevedibili. In coppie di studenti, invitati a identificare varie sfumature di blu, se l’uno dei due, assistente di laboratorio infiltrato, dava una risposta volutamente sbagliata, la coppia dove l’errore si era manifestato era suscettibile di fornire un’associazione originale o insolita sulla parola “blu”.
La conclusione tratta da questi esperimenti è che una persona esposta rispettivamente alla critica o all’errore altrui si sforza di capire meglio il problema posto, il che la costringe a rivedere le proprie premesse e a provare nuove prospettive. Un certo grado di eterogeneità, di confronto, di contrapposizione, stimola l’elaborazione delle idee e dei progetti.
Vanno nella stessa direzione le ricerche del sociologo Brian Luzzi, che si era proposto di trovare la formula migliore per la composizione di un team. Sfruttando la propria passione per gli spettacoli musicali di Broadway, ha osservato che quelli di maggiore successo erano prodotti da compagnie che avevano alle spalle una consuetudine di lavoro, misurata da una scala apposita chiamata Q, da 1 a 5. Si accorse che le équipe non affiatate (Q = 1,5 per esempio) producevano gli spettacoli meno apprezzati, ma pure che decrescevano la qualità e il successo degli spettacoli prodotti da compagnie troppo abituate a stare insieme (Q = 5). Concluse che la formula migliore era di inserire in una équipe collaudata alcuni nuovi collaboratori.
 
L’architettura al servizio degli incontri casuali. Un altro aspetto inerente al lavoro in coppia o in gruppo è la possibilità, anche ora, nell’era delle telecomunicazioni, di incontrare concretamente, fisicamente, i partner. Isaac Kohane, alla Harvard Medical School, studiando il numero di citazioni di articoli scritti a più mani e il luogo dove stavano i co-autori ha trovato una correlazione positiva fra il successo dell’articolo e la prossimità fisica dei co-autori. L’articolo viene meglio se gli autori sono a dieci metri l’uno dall’altro piuttosto che non a chilometri di distanza. (Va sottolineato che per Lehrer, il numero di citazioni è l’indice della qualità del lavoro, cosa probabile ma non dimostrabile.) La teorizzazione dell’utilità degli incontri casuali ha avuto conseguenze sulla progettazione architettonica degli spazi di lavoro. Per esempio Steve Jobs ha preteso che l’edificio destinato alla sua azienda Pixar venisse costruito intorno a un atrio centrale, per favorire incontri casuali; non bastando la mera esistenza dell’atrio, ha fatto diversi tentativi per fare di quello spazio un passaggio obbligato per il personale, ponendoci le cassette della posta, poi la cafeteria, poi i bagni. Non poté evitare qualche critica per l’irrazionalità e la perdita di tempo di tale arrangiamento, ma ricevette anche riconoscimenti dell’utilità degli incontri casuali.
A favore della stessa teoria viene evocata anche la storia del Building 20, creato nel 1942 dal M.I.T. (Massachussets Institute of Technology) per ospitare il Radiations Laboratory, che elaborava e costruiva radar a scopo militare. L’edificio, costruito velocemente e a basso costo, doveva essere distrutto dopo la guerra, ma fu invece conservato e riutilizzato per sopravvenute esigenze di spazio, accogliendo uffici per scienziati di varie discipline, messi assieme per caso. Divenne un ambiente mitico ancorché caotico. La Bose Corporation, del settore dell’Hi-fi, trasse vantaggio dalla prossimità con un laboratorio acustico; Noam Chomsky fu invitato nel M.I.T. attraverso il direttore del Dipartimento di linguistica, che aveva la moglie di Chomsky tra i suoi studenti. La qualità scadente dell’edificio incoraggiava modificazioni dell’ambiente, per esempio l’abbattimento di muri divisori, con conseguente maggiore interattività degli occupanti. La pianta orizzontale favoriva le discussioni nei lunghi corridoi, diversamente dagli ascensori nei grattacieli.
 
Conclusioni. L’autore conclude che, mentre il brainstorming ha dato pochi frutti, l’esperienza del Building 20, sorta nello stesso periodo, ha mostrato la validità della concezione dell’ambiente creativo. Egli sostiene che, quando persone con prospettive differenti s’incontrano in modo imprevedibile, la dinamica di gruppo si sviluppa da sé (takes care of itself). «È la frizione umana che accende le scintille», conclude l’autore. Ora, mentre nel suo articolo le critiche al brainstorming si appoggiano a esperimenti poderosi che mostrano la superiorità della dialettica rispetto allo spontaneismo, la concezione degli incontri casuali viene invece data per buona senza contraddittorio. Eppure l’ispirazione delle due concezioni sembra, in fondo, molto simile. In un caso sono le idee, nell’altro sono le persone fisiche a incontrarsi “a caso”. Ora, quando si tratta di idee, la superiorità dei risultati ottenuti attraverso il confronto e la critica mostra l’importanza di una regia che si sostituisca alla pura casualità. Penso che anche negli incontri delle persone la casualità abbia un ruolo limitato. Anche se è certo importante che esista la possibilità d’incontri, non virtuali ma concreti, nell’ambiente di lavoro.





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